Cristian Rendina

Ho conosciuto Cristian attraverso la Mailing list di Diabolik. In quel periodoi  stavamo cercando di organizzarci per poter iniziare il lavoro della cartina di Clerville, ma i lavori procedevano a rilento. Per portare avanti seriamente il lavoro avremmo dovuto controllare tutti gli albi, annotandoci  edifici, strade, località ecc. Davanti a noi avevamo un lavoro enorme, che ci aveva fatto temere di non poter portare a termine il nostro progetto. Noi speravamo che presentando il disegno delle due cartine, gli iscritti alla ML, ritrovassero quell’entusiasmo iniziale e che con il loro aiuto avremmo potuto portare avanti il lavoro in poco tempo.  In nostro aiuto fortunatamente arrivò  Cristian Rendina, un un ragazzo che frequentava l'università nella facoltà di ingegneria a Milano.  Cristian si era iscritto non da molto alla ML di Diabolik e ci informava che aveva creato un data base con quasi tutte le località apparse sugli albi di Diabolik, ci spiegava che lui leggendo Diabolik, da anni appuntava i vari luoghi che comparivano nella speranza di chiarirsi le idee sulla conformazione dello Stato di Clerville. Voleva in pratica ricostruire una carta dello stato. Credeva infatti che all’Astorina venisse seguita almeno approssimativamente una cartina ma, scoperto che non era così, abbandonò l’idea di disegnare una carta a causa delle troppe incognite. Continuò comunque a catalogare le informazioni degli albi man mano che li leggeva e, quando lesse del progetto di realizzare la cartina, proposto in lista, pensò di aiutare mettendo a disposizione le informazioni che aveva raccolto. Appena visto cosa conteneva il file che Cristian ci aveva inviato, io e Dryu quasi non ci credevamo!! Cristian aveva risolto tutti i nostri problemi. Quel file conteneva proprio i dati che cercavamo. Chiedemmo a Cristian se era disposto ad aiutarci nel nostro progetto e fu così che portammo avanti il lavoro in tre. Solo grazie al suo aiuto riuscimmo a portare a termine il nostro progetto.ù

 

Pochi anni dopo, Cristian inviò in list questo racconto. A me piacque molto e ora lo voglio rendere pubblico agli altri appassionati. il racconto si intitola appunto

"Il disegno del fato"

Prima di pubblicare il suo soggetto , ho provato a contattare Cristian per informarlo, ma non sono riuscito a rintracciarlo. Comunque spero che lui ne sia felice, in fondo fu lui stesso a pubblicarlo sulla mailing List di Diabolik, quindi non è la prima volta che il suo soggetto va in rete.

l disegno del fato

IL DISEGNO DEL FATO
 

      BOOM!!. Fumo. L'aria ne era satura e non permetteva la vista a più di un braccio di distanza. Ma ad occhi chiusi era completamente inodore e non se ne percepiva la presenza. Poi, improvvisamente, difficile dire dopo quanto tempo, una luce rese quel fumo bianco più luminoso ma non meno impenetrabile come quando di notte si puntano per errore i fari abbaglianti nella nebbia. Infine, gradatamente, il fumo bianco che avvolgeva ogni cosa cominciò a diradarsi. Un uomo aveva arieggiato la stanza e, se qualcuno l'avesse potuto osservare, avrebbe scorto un raro sorriso di compiacimento sulle sue labbra, seguito da un'espressione rallegrata degli occhi leggermente tirati in quella smorfia insolita tra il divertito ed il compiaciuto. Ma fu questione di pochi attimi e immediatamente, come se il tempo fosse scaduto, tutti i muscoli facciali dell'uomo si rilassarono facendo ripiombare un'aria seria su quel volto i cui occhi colpivano chiunque li guardasse. Erano occhi strani, quasi innaturali, con un'iride cangiante nelle varie tonalità dell'acciaio a seconda della luce dell'ambiente che scrutavano. Era come se, camaleontici, rispecchiassero ciò che vedevano mutando sé stessi e mascherandosi per osservare, senza venir osservati. Ed ora quegli occhi, affacciati su un magnifico panorama regalato dalle vette innevate del Beglait, erano persi nella contemplazione. Ma non contemplavano il presente, bensì il futuro che la mente stava loro disegnando. Il tempo del compiacimento era infatti terminato ed ora occorreva decidere le prossime mosse di un diabolico piano.

L'uomo alla finestra del grazioso ed isolatissimo chalet, era di corporatura indubbiamente atletica anche se non la evidenziava con il suo abbigliamento consistente in un semplice pullover e pantaloni lunghi entrambi ricercatamente scuri. Improvvisamente una voce femminile nella stanza disse:

      -   Niente! Amore non sono riuscita a seguirti con lo sguardo quando ti sei allontanato dal mio fianco per più di due passi. Non potevo vederti né alla luce della lampada elettrica, né quando hai aperto l'imposta facendo entrare la luce del giorno.

L'uomo infatti aveva scelto quegli abiti non per affari di moda o per il riflesso del colore della sua anima, cosa che pure sarebbe stata possibile, ma per un semplice fatto pratico. Il nero era il colore che più contrastava con la tonalità chiara del fumo. Lui agiva di notte, vestito di scuro in un'aderente e pratica tuta nera per muoversi invisibile nell'ombra come una pantera nelle tenebre. Perché lui era un ladro. Lui era il ladro. Lui era Diabolik.

Colei che gli aveva parlato stava avvicinandosi e lui si girò per ammirarla. Anch'ella era vestita di scuro, con abiti simili, solo un po' più graziosi. Aveva una figura snella ed un viso bellissimo al quale non riusciva mai ad abituarsi nonostante gli anni trascorsi insieme. Era la sua donna, l'unica che avesse mai amato e che lo amava per quello che era. Lei, dopo aver parlato, gli sorrideva poiché era felice che tutto andasse come Lui aveva previsto. Erano ormai l'uno di fronte all'altra, accanto alla finestra che faceva entrare il caldo sole primaverile, mentre una fresca brezza giunta inaspettatamente sembrò risvegliarli. Si abbracciarono stretti e lui disse:

      -   Sei la mia regina e ti regalerò un gioiello degno di una regina.

Lei chiuse i suoi meravigliosi occhi viola e si baciarono intensamente. Poi lui, accarezzandola con una mano tra i lunghi e meravigliosi capelli castani sciolti sulle spalle, continuò:

      -   Avrai i gioielli dei Caron, Elisabeth.

 

      SKREEEKK!! Finalmente l'aereo atterrò all'aeroporto di Lusten, la capitale del Beglait. Erano le 21.35 precise, come da programma. Ginko aveva spesso sentito parlare delle bellezze di questo paese, ma non aveva mai avuto modo di visitarlo fino a quando, poche settimane prima, non si era presentata l'occasione propizia. I disordini del Beglait erano noti a tutti, a partire dalla rivolta contro la nobiltà fino agli attuali corpi eversivi detti "Corvi Grigi". La situazione ora stava stallando e, nonostante la mascherata ostilità della polizia locale, alcuni esperti internazionali erano stati chiamati per risolvere la situazione con la riorganizzazione dei compiti della polizia. Per festeggiare l'evento sarebbe stata anche data una festa, o meglio un ricevimento, con l'alta società, a seguito del quale sarebbe iniziato per lui il lavoro vero e proprio. Ma di questo ricevimento il commissario Ginko non avrebbe voluto partecipare.

Ginko era un uomo integerrimo, ligio alla legge ed onesto fino all'osso, ma doveva ammettere che stava perdendo la passione di una volta. Forse era colpa della carriera. No, ne era sicuro. Il suo grado negli anni era aumentato, e di pari passo il suo prestigio. Tuttavia in modo inversamente proporzionale era diminuito il lavoro da poliziotto, quello vero a contatto diretto con la realtà più cruda e la lotta diretta contro i criminali. Non che ciò che facesse ora fosse meno importante, ma si rendeva spesso conto di aver nostalgia dei vecchi tempi di quando era l'"Ispettore Ginko". Fortunatamente, a fargli ricordare la vecchia realtà, c'era la sua donna, Anna Walker, o almeno questo era il suo nome prima del loro matrimonio. Anch'ella nella polizia, in grado inferiore a lui, sovente gli chiedeva consiglio sapendo di fargli piacere nonostante fosse sempre occupato. Purtroppo la conosceva bene e sapeva che al ricevimento ce lo avrebbe portato anche con la forza se fosse stato necessario.

      -   Pazienza.   -      pensò il commissario Ginko, in fondo a volte bisognava saper cedere.

      -   GINKO!   -      chiamò una voce.

Ginko si destò di soprassalto dai suoi pensieri. Era Anna che lo chiamava per andare a prendere il bagaglio che era finalmente sceso dall'aereo. Un istante dopo, raggiunta Anna, prese il bagaglio pronto a dirigersi verso l'uscita dell'aeroporto dove erano attesi da un incaricato che avrebbe dovuto condurli all'albergo di destinazione. Dopo pochi passi Anna, con un sorriso, chiese:

      -   Ti eri incantato a guardare quella donna? Non farlo più, lo sai che io sono gelosa ed armata!

Ginko non capì subito ma sorrise a sua volta guardando nella direzione indicatagli da Anna. C'era una donna bionda accanto ad un uomo. Era una coppia che aveva visto salire sul loro aereo alla partenza. Ginko rispose indicando con un cenno:

      -   Ma cara, è già accompagnata. Non vedi? E poi lo sono anch'io!

Nel dire questo Ginko abbracciò Anna con il braccio non impegnato a sollevare il bagaglio. Ma, dirigendosi verso l'uscita, Ginko ripensò veramente a quella donna bionda. Doveva averla già vista da qualche parte. Non ricordava dove, ma forse era solo il suo vecchio istinto da poliziotto che lo portava continuamente ad associare volti ed eventi. Anche prima che questi si compissero.

      -   COMMISSARIO GINKO?   -      chiamò un uomo poco distante da loro.

A giudicare dalla divisa, doveva essere l'autista incaricato di portarli all'albergo.

      -   Si, sono io!   -      rispose Ginko.

      -   Mi chiamo Cartabian.   -      Disse l'uomo con un'inflessione strana della voce, un inflessione tipica dei cittadini del Beglait      -   Sono incaricato di provvedere alla vostra sistemazione. Vi porterò al vostro alloggio se volete seguirmi.. L'auto è a pochi passi.

Cartabian era un uomo non più giovane, ma dal fare comunque giovanile. Portava i capelli corti e scuri ed aveva occhi chiari e modi allegri e simpatici. Seguendo quell'uomo dallo stano accento che dava un tocco folkloristico al viaggio, Ginko notò in attesa fuori dall'aeroporto una macchina di gran lusso che pareva una di quelle che accompagnano le star. Doveva essere in arrivo qualcuno di importante, ma a lui non importava molto chi fosse. Ciò che contava era che poco dopo sarebbe giunto in albergo. L'indomani sarebbero cominciati gli impegni lavorativi. Finalmente giunsero alla loro auto. Più modesta della precedente, ma sempre rispettosa. I tre salirono a bordo e l'auto cominciò la sua corsa.

      -   Godetevi la gita signori.   -      disse il conducente col suo strano accento   -       la nostra capitale Lusten è veramente meravigliosa in questa stagione. Come in tutte le altre del resto. A proposito, ci siete mai stati?

Ginko capì immediatamente che non sarebbe stato un viaggio facile né tranquillo.

 

      CLACK! CLACK! La serratura si era aperta e la cameriera entrò nella suite del prestigioso albergo dove alloggiavano da alcuni giorni i signori Caron. Era mattina e, come sempre, doveva provvedere a risistemare la suite quando i coniugi uscivano per visitare la città e i suoi facoltosi abitanti. Avevano sempre qualcosa da fare quei due ma, per quanto ne sapeva, la giornata non la trascorrevano sempre insieme. Pareva che alla signora piacesse girare libera per la città quando il marito era impegnato. Comunque fosse, qualunque cosa avessero fatto, lei lo avrebbe saputo dai microfoni collegati con una camera al piano di sotto. Nessuno poteva vederla e così si tolse la maschera per sentire l'aria del mattino sul volto. Era Elisabeth Gay, la compagna di Diabolik. Poteva udire tutti i discorsi comodamente dal suo alloggio, ma svolgere il lavoro di domestica era fondamentale per far si che nessuno trovasse i microfoni mettendo le mani dove non doveva nel tentativo di risistemare la camera. Era contenta di dover essere lei e non il suo uomo a tenere sotto controllo i Caron. La signora Lady Eva Caron era molto bella e ne era gelosa. Ma in fondo erano dei pensieri sciocchi. Ricordava bene il giorno in cui Lui, il suo uomo, la aveva resa partecipe della sua vita. Lei aveva scoperto in giardino una botola piena di maschere e ne era rimasta terrorizzata. In preda allo shock stava correndo alla polizia quando Lui, che nel frattempo aveva preso il posto di un cameriere per un colpo, la sorprese e la fermò. Stava per ucciderla ma. ma poi riuscì a spiegarle e lei prese la sua decisione. Divenne la sua complice. Bene, qui il suo lavoro era terminato ora che tutto era in ordine. Poteva anche andarsene. Indossò nuovamente la maschera con le sembianze della cameriera dell'albergo ed uscì.

 

      TUMP! TUMP!.TUMP! TUMP!.TUMP! Era molto tardi, ma bussavano alla porta. Due colpi, due colpi, un colpo. Era il segnale convenuto. Significava che era Lui ed era andato tutto bene. Elisabeth, che stava aspettando il suo uomo, era ormai tranquilla. Non c'era motivo di agitarsi perché Lui era lì. Aprì la porta e Diabolik entrò nella stanza. Dopo un breve sguardo l'uomo si sprofondò nella comoda poltrona vicino al terrazzo. Elisabeth lo guardava senza parlare e lui pareva lontano. Sedette dunque sul letto pazientemente. Lei sapeva che non amava essere interrotto. Pareva seduto lì, come una persona normale a non fare niente, ma Elisabeth era cosciente che la sua mente era sempre al lavoro quando si era prefissato il raggiungimento di un obbiettivo. Diabolik non amava le parole inutili. Passarono alcuni minuti quando ad un tratto lui interruppe il silenzio. E' andato tutto bene al porto di Vallemberg. Ho individuato facilmente il panfilo sul quale si terrà il ricevimento nei prossimi giorni. Si chiama Jada.

      -   Come l'antica principessa del Beglait!   -      disse Elisabeth

      -   Come le pietre preziose della coroncina che sarà tua Elisabeth.   -      precisò lui risolutamente.

La donna quasi aveva dimenticato che la coroncina che era oggetto delle attenzioni del suo uomo, aveva la base adornata di pietre dure di rarissima jada blu incastonate su tutta la circonferenza. Era un opera, un gioiello unico e lei sperava che il suo uomo le avrebbe permesso di tenerla intatta per poterla indossare di quando in quando.

      -   Intorno al panfilo c'è una stretta sorveglianza ed è impossibile avvicinarlo. Almeno da terra. Ho saputo che la corona uscirà dalla banca e verrà trasportata a bordo sotto strettissima scorta armata il giorno stesso della festa. Sarà il simbolo della fiducia nella nuova riorganizzazione dello stato. Il simbolo di un nuovo ordine.

      -   Si, Walter   -      disse Elisabeth che, sebbene sapeva che il suo uomo non aveva un nome, si era abituata a chiamarlo Walter Dorian, il nome fittizio che lui aveva usato per conoscerla.      -   ricordo che i giornali dicevano che sarà il simbolo del nuovo ordine, in analogia col passato quando la principessa Jada, che fece costruire la coroncina, ristabilì la pace dopo una terribile crisi.

      -   E tu cosa mi dici dei Caron, Elisabeth? Ci sono novità?

Elisabeth, fu come ridestata da un sogno e tornando alla realtà rispose:

      -   No, la signora è uscita anche oggi. Pare che finalmente abbia trovato l'abito adatto. Ma come sempre non lo ha ancora comprato.

      -   A noi interessano i gioielli, non certo gli abiti.   -      rispose Diabolik senza mostrare nessuna emozione nella voce come se stesse pensando già ad altro.

Elisabeth aveva intenzione di ridestarlo dai suoi pensieri e pensò di stuzzicarlo su un argomento a lui caro. I gioielli:

      -   Ho sentito dire che possiede un favoloso diamante rosa.   -      disse lei.

      -   E' Falso.   -   La risposta di Diabolik la lasciò un attimo senza parole.

      -   E tu come lo sai?

Elisabeth era riuscita nel suo intento, Diabolik aveva infatti cambiato espressione e ora la guardava. Non era più lontano, ma presente.

      -  Non credo di avertelo mai raccontato Elisabeth.   -      disse lui      -   Fu il giorno che tu scopristi la mia vera identità, quando scopristi che Walter Dorian era una mia invenzione. Ricordi? Eravamo a Marsiglia ed io avevo preso il posto di un cameriere. Volevo derubare Eva Caron. Allora si faceva chiamare Lady Eva Kant poiché era la vedova di un certo Lord Kant. Mi introdussi nella sua stanza una notte in cui aveva un appuntamento con quello che è divenuto suo marito. Stavo aprendo la cassaforte quando udii una sirena. Rimasi allerta sperando che non fosse per me ed in effetti si allontanò. Mi stavo accingendo a riprendere il lavoro quando sentii quella donna rientrare. Feci appena in tempo a nascondermi. Aspettai che si addormentasse e rubai il diamante. Tornato al rifugio però mi accorsi che era falso e, per non lasciare tracce del mio passaggio, lo riposi al suo posto senza che nessuno ne notasse a sparizione. Tornato al rifugio dall'albergo trovai te in preda al panico poiché avevi scoperto il mio segreto.

      -   Non sapevo di questa storia. Perché stiamo tenendo sotto controllo proprio questa coppia? Non sarà per quella donna?

Lui sorrise.

      -   Non essere sciocca. Suo marito è una persona molto influente e quei due hanno libero accesso ad ogni ambiente. E poi hanno un'alta utilità. Conoscono personalmente l'organizzatrice della festa. La Duchessa Altea di Vallenberg.

 

      WROOOMMM.. La Duchessa Altea di Vallemberg era quasi tornata a casa. Al castello dei Vallemberg. Provenendo da Lusten, situata all'interno dello stato, via via che l'auto si avvicinava a Vallenberg, si poteva sentire l'odore del mare crescere di intensità. La giornata infatti era bella e permetteva di respirare l'aria pulita con i finestrini abbassati. Il vento le scompigliava un po' i folti capelli neri ma alla donna non dispiaceva perché poteva odorare di nuovo quei profumi familiari che le riportarono alla mente i ricordi del passato. Era molto che non rivedeva il suo maniero. L'ultima volta era stato durante la rivoluzione per l'indipendenza del popolo del Beglait contro la monarchia. Lei era dalla parte del popolo ma la sua posizione di nobile l'aveva messa in serio pericolo perché la furia dei rivoluzionari non aveva conosciuto ostacoli in quei brutti momenti. Ricordava ancora la fedeltà del suo maggiordomo Lodovico. Forte ed autoritario per carattere, l'aveva condotta lontano dal castello. In principio a casa di sua sorella ma poi, vedendola presidiata dai rivoluzionari, la condusse da un vecchio amico conosciuto in gioventù durante la guerra. I rivoluzionari infatti, ben sapendo del suo appoggio alla Duchessa, cercarono di catturarla immaginando che l'avrebbe aiutata. Il suo appoggio incondizionato a lei era ben noto a tutti. A lui doveva la sua salvezza. E ora, come sempre, le era accanto, sulla panca posteriore dell'auto, mentre il conducente dell'autovettura li guidava con fare sicuro verso la rocca.

Improvvisamente ecco il mare comparire sulla destra dopo una curva. Conosceva bene quella strada ed ormai sapeva che mancava poco. Dopo alcuni minuti, sopra una collinetta, poté scorgere il tetto appuntito della torre più alta del castello. Ormai non era più suo. Apparteneva ora alla città di Vallemberg e forse era giusto così ma, nel cuore, sentiva che quello sarebbe sempre stato il suo castello. Ora appariva in tutto il suo splendore. Stavano per imboccare l'ultimo rettilineo e la Duchessa si spinse un po' in avanti per osservare meglio. Il castello sorgeva su una piccola altura accanto al mare al quale si scendeva per un dolce sentiero. Non era quella che si poteva definire una fortezza, ma piuttosto un'elegante e curata residenza, cosa che rispecchiava perfettamente il carattere della Duchessa. Una fortezza lo era stata nel passato e ne rimanevano i segni nella parte retrostante dove era rimasta la vecchia struttura a merlatura rettangolare e feritoie. Poi, col tempo, opere di innovazione dovute alla ricostruzione di parti distrutte dalle rivolte, gli aveva dato un tocco più romantico nella forma degli edifici, e gotico in quella delle finestre che erano perlopiù monofore e di forma a sesto acuto. La mistione di questi diversi stili, gli dava l'aspetto di un castello da fiaba. L'unica barriera tra il mare ed il castello era un boschetto di conifere e latifoglie che pareva difenderlo e danzare quando veniva scosso dal vento proveniente dal nord. Le torri circolari e slanciate poi, sembravano fare da cornice a quella graziosa dimora e la Duchessa ne ricordava in particolare una, la più alta, dalla quale poteva ammirare il panorama migliore. Imboccando l'ultima breve curva a destra, passarono a fianco alla terrazza affacciata sui prati in fiore ed erano giunti finalmente a destinazione. Anche Lodovico notò che il castello, nonostante la loro assenza, era stato ben curato dall'amministrazione cittadina che ne aveva preso pieno possesso. Ora sarebbe servito come residenza per le persone più facoltose del paese prima della festa che era in programma. Il castello sarebbe stato circondato da un cordone di sicurezza e lei era arrivata per prima perché voleva vederlo come lo ricordava, non presidiato dalla polizia. Preso alloggio nella vecchia stanza che le era stata assegnata come segno di riguardo, la Duchessa girò per il castello per ricordarne ogni particolare. Tutto era rimasto come quando l'aveva lasciato, anche la Sala Azzurra che sarebbe servita nei giorni seguenti come luogo di ritrovo, chiacchiere e discussioni. Tutto era troppo fedele, tanto da rammentare tutti i ricordi, dai più cari ai più dolorosi. Altea decise dunque di uscire per respirare un po' d'aria fresca per ritornare alla realtà. Discese il dolce sentiero che attraverso il bosco conduceva alla costa. Alla base del bosco c'era un prato di fiori che si affacciava sul mare. Quella dolce visione le riportò inesorabilmente alla mente i ricordi che tentava invano di fuggire. Era lì che aveva passato dolci ore col defunto marito. Erano passati molti anni ormai ma, nonostante la sua bellezza fisica e caratteriale, non aveva saputo trovare un altro compagno, qualcuno che la capisse e la vedesse per quello che era. Qualcuno, tra i nobili che conosceva, aveva provato a corteggiarla, ma in loro non aveva visto nulla che potesse riempire il vuoto che suo marito le aveva lasciato. Forse era il suo destino pensò. Si sdraiò ascoltando il mare e, cullata dal suono della risacca, chiuse gli occhi azzurri e si addormentò tra i suoi pensieri.

 

      DLIN! DLON! Eva Caron era una che non riposava mai. Non da quando aveva deciso di liberarsi del marito George Caron.

DLIN! DLON! Eva stava suonando il campanello dell'appartamento, ma non rispondeva nessuno. Possibile che fosse l'indirizzo sbagliato? No, era impossibile, conosceva l'uomo che glie lo aveva dato sin da quando era una ragazza e sapeva che aveva sempre lavorato bene. Era stata obbligata a sposare George Caron per non venire accusata di omicidio. Magari non sarebbe riuscito a farla incriminare, ma la polizia avrebbe indagato sul suo passato scoprendo cose che era meglio restassero sepolte. Ma, doveva ammetterlo, non credeva che suo marito fosse così astuto. Certo per essere il segretario del ministro di giustizia bisognava avere una certa intelligenza, ma Eva non immaginava che sarebbe rimasto guardingo così a lungo dopo il matrimonio. Finalmente, dopo anni, aveva abbassato la guardia ed aveva cominciato a fidarsi. Doveva accadere prima o poi, era solo una questione di tempo. Lei aveva saputo aspettare con pazienza, ma ora si stava presentando l'occasione buona e non se la sarebbe lasciata sfuggire. Quando si erano sposati lei non aveva che il titolo nobiliare mente lui viveva in modo molto agiato. Ora era sua moglie, ma se lui fosse deceduto, sarebbe rimasta sempre senza un soldo poiché sapeva di essere stata diseredata. Diseredata come lo era stata da Lord Kant, il suo precedente marito, ma lei aveva un piano. Si sarebbe liberata del marito ed avrebbe guadagnato un'ingente ricchezza con la quale avrebbe cominciato una nuova vita.

DLIN! DLON! Finalmente qualcuno venne ad aprire. Era un uomo strano, con folti capelli neri e scuri, folta barba ed occhiali scuri. Eva si rese subito conto che era un travestimento per evitare di venire riconosciuto.

      -   Sono Eva Caron.   -      Disse Eva risoluta.

      -   So già tutto, entri.   -      rispose l'uomo che era stato ovviamente avvisato del suo arrivo e della motivazione del loro incontro.

L'uomo fece un cenno con la mano ed Eva entrò fiduciosa.

La stessa porta di riaprì un'ora dopo ed Eva ne uscì decisa. La trattativa era andata a buon fine. Lei avrebbe fornito le indicazioni necessarie riguardo alla festa sul panfilo al largo di Vallenberg alla quale era stata invitata insieme al marito. I complici di quell'uomo avrebbero fatto il colpo rubando i gioielli delle signore e, nella confusione, un colpo di pistola accidentale, l'avrebbe liberata per sempre dall'oppressione di George Caron. Era anche riuscita a farsi assegnare una discreta parte del bottino con la quale avrebbe vissuto agiatamente. Era contenta. Ora sarebbe tornata all'albergo ad aspettare il marito come una perfetta mogliettina e lui non avrebbe sospettato niente. Ma prima avrebbe comprato un vestito qualunque, in una boutique qualunque. Sarebbe stato il suo alibi per la giornata.

 

      BZZZ.BZ... Le batterie si stavano scaricando. Il giorno seguente Elisabeth le avrebbe sostituite durante la consueta visita alla camera dei Caron. Ma i microfoni trasmettevano ancora distintamente le voci dei due Coniugi.

      -   BZ. Si Eva, è molto bello. Potrai usarlo in una delle serate che passeremo a Vallemberg.

George Caron si stava riferendo all'abito che Eva aveva comprato quel giorno.

      -   Si, George. Credo che sarà proprio quello che userò per la serata sul panfilo. Quando partiremo per la costa di Vallemberg?

      -   Fra due giorni cara. Alloggeremo nel castello di Vallemberg insieme ad altri del nostro rango. Hai ancora un po' di tempo per continuare le tue visite qui alla città di Lusten.

      -   Bene. BZZ.Diciamo che ormai ciò che più mi premeva l'ho fatto. Ma saprò ben impiegare anche queste giornate.

      -   Ora preparati però, tra poco scenderemo al ristorante per cenare e poi andremo.

      -   Spegni pure il collegamento Elisabeth.   -      disse la voce di Diabolik      -      Abbiamo sentito abbastanza.

Elisabeth si voltò e vide Diabolik già in piedi. Un minuto prima lo aveva osservato e le pareva che dormisse. Aveva passato fuori tutta la notte precedente e tutta la giornata. La giornata per studiare la strada per Vallemberg, dove voleva mettere in atto il suo piano, per poter preparare una via di fuga in caso di necessità e portare le ultime modifiche al congegno di fuga. La notte per installare i congegni fumogeni. Ora aveva bisogno di riposare, ma la notizia della partenza che aspettava non gli era sfuggita.

      -   Perfetto,   -      continuò Diabolik      -   ora sappiamo anche la data della partenza dei Caron. Non potevo interrogarli perché neppure loro lo sapevano prima.

      -   E adesso cosa hai intenzione di fare?

      -   Andremo anche noi a cenare da qualche parte. Ho visto un posto che ti piacerà. Poi andrò ad installare i congegni.

      -   Ma tu devi riposare, non dormi da.

      -   Dormirò quando avrò fatto il colpo cara, ora il tempo stringe ed ho molto lavoro da fare. Sai anche tu che devo lavorare con molta cautela per non venire scoperto.

Elisabeth sapeva che era inutile contraddirlo e così cominciò a prepararsi.

 

      FFSSS.. Il narcotico aveva fatto effetto ed il poliziotto era caduto addormentato. Avrebbe pensato ad un colpo di sonno. Anche quella notte un'ombra scura fece visita ad un'altra imbarcazione della polizia nel porto della città di Vallemberg. Diabolik salì a bordo. Giunto nella cabina si tolse lo zaino che portava sulle spalle. Doveva smontare il pannello. Ci sarebbero voluti pochi minuti. Non sapeva esattamente quali imbarcazioni della polizia sarebbero servite come scorta al panfilo della festa e così doveva insellare i suoi congegni fumogeni su tutte quelle della polizia costiera di Vallenberg. Il panfilo della festa, il "Jada" era stata la prima imbarcazione a ricevere la sua visita. La sorveglianza dal molo era strettissima, ma lui era salito a bordo con un piccolo argano azionato dalla parte del mare. Bene, ora anche questa lancia aveva la sua bombola di fumogeno, Diabolik richiuse il coperchio e sei allontanò. Per questa notte aveva finito.

 

      TLACK! La provvisoria sbarra che bloccava la strada si stava sollevando e l'auto di Ginko, auto in borghese fornita dalla polizia di Lusten, poté avviarsi verso il castello. Ormai erano arrivati e quanto il commissario Ginko aveva sentito a Lusten non era esagerato. La polizia del Beglait aveva da pochi giorni costituito un cordone di sicurezza inviolabile attorno al castello di Vallenberg. Gli avevano controllato i documenti al posto di blocco sull'unica strada che conduceva alla rocca e sulle colline intorno c'erano uomini di guardia con i mitra a tracolla pronti all'uso. Si temeva infatti un intervento del corpo di sovversione dei "Corvi Grigi" poiché era possibile che cercasse di sabotare il tentativo in atto di stabilizzare la situazione dello stato partendo dalla sicurezza fornita dalle forze della polizia. Ma anche i ladri erano temuti, a causa dei gioielli che le signore avrebbero mostrato nella festa che si sarebbe tenuta in quei giorni, ma soprattutto a causa della famosa coroncina della principessa Jada che sarebbe stato il simbolo di quell'evento. In particolare tutti temevano per un ladro infallibile che colpiva senza mai lasciare traccia. I più superstiziosi ritenevano che fosse un demonio, altri credevano che fosse un'invenzione della polizia a cui attribuite i casi irrisolti, alcuni credevano che fosse un uomo che agiva da solo, mentre parte dei pseudo-testimoni delle sue imprese riferivano che era affiancato da una donna non meglio definita. Per quel poco che sapeva, Ginko credeva si trattasse di una banda ben organizzata perché i pochi testimoni ancora vivi, sebbene potessero dare solo vaghe indicazioni, descrivevano sempre persone diverse che erano accomunate solo dal modus operandi. Ricordava che già una volta, molti anni prima, si era incontrato con questo famigerato ladro. Si trovava a Gau Long e, durante una retata, lo aveva visto gettarsi in acqua, ma era arrivato troppo tardi per identificarlo poiché era completamente ricoperto da una tuta da sub e a causa della distanza non era neppure riuscito ad osservarne gli occhi. Niente insomma, e così anche lui era uno degli inutili testimoni.  Uomo, banda, o demonio che fosse, nessuno conosceva il suo volto o la sua identità, ma ci si riferiva a quell'essere chiamandolo solitamente Diabolik. Ginko era sicuro che nessuno avrebbe potuto oltrepassare quell'imponente sorveglianza armata. Tuttavia non era affatto tranquillo.

Tutto questo passò in un attimo nella mente di Ginko che, costeggiando i prati, stava guidando piano lungo il viale che portava al portone di ingresso del raffinato castello di Vallenberg.

      -   Voglio proprio vedere queste ricche signore, Ginko!   -      Disse Anna che era stata sempre al suo fianco dall'arrivo nel Beglait.

      -   Non capisco cosa tu voglia dire Anna   -      Replicò Ginko curioso.

      -   Voglio vedere i loro volti quando ti guarderanno come risolutore dei loro problemi. Sono tutte certe che col tuo intervento potranno stare tranquille coi loro tesori indosso. E lo sono anch'io. Ed anche il ministro o non ti avrebbe fatto quella promessa.

      -   La promozione non è affatto sicura Anna. E non sarà cosa rapida né facile prendere le giuste scelte per reimpostare la polizia di qui. E' un paese diverso dal nostro e come tale non sono applicabili immediatamente gli stessi metodi.

      -   Io sono sicura che ce la farai commissario Ginko!   -      disse Anna sorridendo      -   O devo già chiamarti "commissario capo"?

Ginko non ebbe il tempo di rispondere all'entusiasmo della sua compagna. Infatti erano già arrivati al castello e alcuni camerieri erano pronti ad aiutarli a prendere i bagagli.

      -   Benvenuti signori!   -      disse quello che pareva il capo dei maggiordomi      -   Il mio nome è Lodovico e per qualsiasi cosa abbiate bisogno qui al castello potete riferire a me. Farò il possibile perché venga eseguita al più presto.

      -   Credo che abbiate frainteso signor Lodovico. Noi siamo semplicemente della polizia e.

      -   Mi hanno avvisato dal cancello commissario Ginko, so chi siete. Siete ospiti del castello di Vallemberg, è tutto ciò che mi occorre sapere.

Che strano uomo, pensò Ginko. Doveva essere uno di quei maggiordomi vecchio stampo. Ma in lui c'era un qualcosa che gli piaceva, una personalità che meritava rispetto.

      -   Mi dispiace che la Duchessa di Vallemberg non sia venuta a salutarvi, ma temo che sia intrattenuta da degli altri ospiti. Se volete seguirmi vi mostrerò il vostro alloggio. E' proprio nella torre. Una scelta della Duchessa sapete. Lì le stanze sono più modeste, ma godono di un panorama migliore. Poi la incontrerete certamente nelle sale del castello.

      -   Vai tu con loro Anna, io. .voglio prima vedere la sorveglianza dalla parte del mare. Dall'auto non ho potuto osservarla.   -      Disse Ginko

      -   Va bene caro, ma se vuoi poi ci andremo insieme.

      -   Non è necessario Anna, comincia a divertirti con le dame del castello.   -      replicò Ginko e, avvicinandosi all'orecchi della sua donna sorridendo, le sussurrò con fare divertito      -   Io, prima di venir rinchiuso nella torre, preferisco prendere un po' d'aria fresca.

Detto questo Ginko si incamminò sul sentiero che portava al mare.

A poco a poco il boschetto si rischiarò e Ginko giunse in un prato di fronte al mare. Ora la visione era sgombra da ostacoli e le lance della polizia che pattugliavano il mare erano suddivise in due fasce. Una più esterna, costituita da due lance veloci per intercettare ed allontanare eventuali curiosi, e quattro più interne, più grosse e piene di poliziotti. Vicino alla costa era già ancorato lo yacht per la festa.

Immerso nei suoi pensieri non si era accorto che una donna, proveniente dallo yacht, si stava avvicinano a lui. Era una donna mora e sorridente, con i capelli folti e scalati vicino al collo, mossi dalla brezza del vento.

      -   Buongiorno!   -      disse lei cortesemente.      -   Dovete essere un nuovo ospite credo, ma non sembrate divertirvi molto!

La donna non aveva torto. Anche durante una passeggiata rilassante, Ginko stava lavorando.

      -   E' vero, sono appena arrivato. Sono il commissario Ginko.

La donna ormai si era avvicinata e mentre si salutavano con una stretta di mano lei rispose:

      -   Che piacere conoscervi! Io sono Altea di Vallenberg!

Fu mentre la donna si presentava che Ginko notò i suoi bellissimi occhi azzurri. Sembravano due lembi di cielo, di quel cielo terso di una solare giornata primaverile. Non si aspettava che la Duchessa Altea di Vallenberg fosse una donna così giovane e bella. Inconsciamente aveva sempre pensato ad una vecchia dispotica. Come se non volesse crederci chiese:

      -   Voi siete la Duchessa Altea di Vallenberg?

 

      SBRANG! Il vento aveva sbattuto la finestra e Anna, che aveva appena terminato di sistemare ogni cosa nella stanza, si affacciò per chiuderla. Dalla torre vide Ginko che tornava al castello. Ma non era solo. C'era un bellissima donna con lui. Una donna che non aveva mai visto. Un'invidia che non aveva mai conosciuto la percorse interamente.

 

      CIN! CIN! Tutti i bicchieri risuonavano per il brindisi quella sera. Gli invitati del castello erano riuniti nel grande salone dedicato ai pasti. Non era ancora ora di cena, ma gli antipasti cominciavano a girare mentre gli ospiti venivano intrattenuti dalle note della musica del pianoforte e dalle loro stesse chiacchiere che coprivano quella meravigliosa melodia con inutili parole. O almeno questo era il parere di Lodovico che, in un angolo vicino alla coda dello strumento, si godeva le note perdendosi di quando in quando ad osservare le stelle visibili dall'ampia finestra a sesto acuto.

Erano tutti in sala. Ginko, con Anna al suo fianco che lo teneva per un braccio, Altea e tutti gli ospiti tra i quali i signori Caron. Fu un cugino di Altea, Graziano Lemand, a presentarli a Ginko ed Anna che in loro riconobbero la coppia vista all'aeroporto. Ora Ginko capì per chi era quell'auto di lusso che aspettava all'aeroporto. Eva era nervosa. Non le andava il fatto di venire presentata ad un poliziotto proprio in quel frangente in cui stava complottando una rapina ed un omicidio, perciò con una scusa si allontanò da Ginko ed Anna come se fossero una calamita di polarità incompatibile. La cosa non fu però notata dai due poliziotti che la scambiarono per villaneria da nobiltà.

In sala c'erano anche i signori Dorian seduti sul canapè mentre sorseggiavano un aperitivo. Lei una signora bionda e lui un uomo rasato e con gli occhi chiari. Occhi chiari e inquieti che erano invece puntati continuamente sui due poliziotti. Walter e Tina Dorian, c'era scritto sui loro documenti falsi a cui corrispondevano quei volti. Così, e con un falso invito, erano riusciti a penetrare due giorni prima nel palazzo di Vallemberg passando sotto il naso del servizio di sicurezza.

 

      DLON! DLON! DLON! DLON! DLON! DLON! DLON! DLON! DLON! DLON! DLON! DLON! La pendola segnava la mezzanotte. La cena era ormai conclusa ma, prima di andare a riposare, Ginko fece una passeggiata sul terrazzo all'aria aperta per poi addentrarsi un po' nel parco. Aveva bisogno di riposare, ma priva voleva rischiararsi le idee dopo la confusione della serata. Ma non era solo. Un personaggio lo osservava da tutta la serata senza però destare sospetti. Era bravissimo in questo. Poteva nascondersi tra la folla con le sue maschere, e poteva nascondersi nel buio con la sua tuta nera. Ginko era il suo obiettivo. Avrebbe preso il suo posto per fare il colpo sul "Jada" la sera seguente.

Stava tenendo sotto controllo il commissario Ginko da quando era atterrato all'aeroporto. Nelle vesti dell'autista Cartabian aveva registrato la sua voce facendolo parlare durante il viaggio. Poi lo aveva fotografato per prepararne la maschera e infine ne aveva allentato la sorveglianza per non farsi scoprire. Con un poliziotto in gamba come lui bisognava stare in guardia. Ora bisognava passare alla sostituzione di persona. Aveva programmato di entrare nella sua camera durante la notte, narcotizzarlo con la moglie, e prendere le sembianze di lui, ma questa passeggiata notturna gli aveva dato un'altra idea. L'avrebbe fatto sparire in fondo al mare.

Ora si era avvicinato abbastanza alla sua vittima. Distavano circa una quindicina di metri, quando Ginko sentì un fruscio e vide un'ombra muoversi furtiva. Aveva già impugnato la sua pistola quando.

 

      SWISSSS. Un pugnale a doppia lama fendette l'aria colpendo al cuore Ginko. Ma accadde qualcosa a cui il genio del male non era preparato. La vittima non si accasciò al suolo. Doveva essersi protetto contro un'eventuale minaccia utilizzando un'imbottitura. L'aveva sottovalutato e Diabolik capì che era stato un grave errore. Ginko fece un passo indietro per il forte colpo subito e stava per fare fuoco quando udì una voce femminile:

      -   ATTENZIONE GINKO!   -      Era Altea che lo avvisava del pericolo.

La donna infatti aveva seguito il commissario in lontananza con l'intento di raggiungerlo poiché anch'ella voleva passeggiare un po' quella sera. Diabolik approfittò di quell'esitazione per estrarre un secondo pugnale identico al primo da una tasca ricavata nell'avambraccio della tuta nera e scagliarlo alla gola di Ginko. SWISSSS. Il pugnale questa volta centrò il bersaglio mentre Ginko mirava all'ombra seminascosta tra gli alberi che faticava a distinguere.

      -   AAHHHG.

Il poliziotto si era scansato un poco e la lama si conficcò nella sua spalla destra. Il commissario che emise un urlo soffocato di dolore cadendo al suolo. La pistola scivolò dalla mano destra di Ginko, che si aprì di scatto per un riflesso istintivo. Quando Ginko fece per rialzarsi, l'unica cosa che vide erano due occhi di ghiaccio che lo guardavano inferociti. Poi sentì un forte dolore al collo, dato da un colpo della mano aperta, e perse conoscenza. Altea era ormai ad una trentina di metri e stava fuggendo dopo lo sgomento iniziale che la aveva paralizzata. Ma trenta metri erano una distanza insufficiente per garantirgli la salvezza. Diabolik afferrò rapidamente il pugnale conficcato nella spalla sanguinante di Ginko e fulmineamente, con una rotazione del corpo, in un unico movimento lo estrasse e lo scagliò verso la schiena di Altea. La lama trapassò il polmone sinistro della donna giungendo fino al cuore e facendola cadere a terra senza emettere alcun gemito. La Duchessa probabilmente lo aveva salvato dalle pallottole del poliziotto, ma il suo cadavere aveva sconvolto i suoi piani. Nessuno doveva sospettare della presenza di un criminale a palazzo.

      -   MALEDIZIONE!   -      Pensò l'assassino.

 

      CRRR. CRRR. Era il radio-orologio. Lui la stava chiamando. Elisabeth schiacciò il bottoncino per aprire il contatto e rispose.

      -   Dimmi Walter.

      -   C'è un cambio di programma Elisabeth. Aspettami e non fare niente!

Qualcosa doveva essere andato male. Pensò la donna.

      -   Ti prego, non lasciarmi sulle spine, dimmi cos'è accaduto!   -      Chiese lei ansiosamente.

      -   Ho eliminato Ginko come da programma, ma la Duchessa di Vallemberg ha visto tutto ed ho dovuto ucciderla. Non possiamo permettere che sparisca dalla scena, quindi dovrai prendere il suo posto. Ti raggiungerò non appena li avrò gettati insieme in fondo al mare.

      -   Ma allora non prenderò più il posto di Eva Caron come avevamo stabilito?

      -   Esatto, ma non è un problema. In questi giorni abbiamo avuto modo di prepararci ed ho registrato le voci di parecchi invitati e anche quella della Duchessa nel caso ci fosse stato un imprevisto. E l'imprevisto è avvenuto. Sapevamo che non saremmo più potuti uscire dal castello e ci siamo premuniti come sempre.

Era vero, pensò Elisabeth, Walter riusciva sempre a prevedere ogni eventualità. Era quella la loro forza. La sua forza. La donna si diresse verso la valigia che sembrava essere vuota. La aprì, ne scoprì uno scomparto segreto e dopo un attimo prese qualcosa. Era una specie di cappuccio di plastica sottilissima che sembrava della consistenza delle pelle umana. Si portò davanti allo specchio e l'indossò. Era una maschera. La maschera della Duchessa di Altea di Vallenberg. Poi la donna prese un piccolo registratore e lo accese. Ne uscì la voce della Duchessa. C'era una bella registrazione del suo benvenuto al loro arrivo e delle chiacchiere che erano seguite.

      -   Spero che la stanza sia di vostro gradimento.   -      Diceva la voce di Altea.

      -   E' magnifica Duchessa. Questo castello è meraviglioso. Parlateci un po' della sua storia, vi prego!

      -   Volentieri. Il castello fu costruito.

Mentre Elisabeth ascoltava quella voce imparando ad imitarne bene l'accento, prese due lenti a contatto azzurre e le indossò. Quando poco dopo Walter sarebbe giunto da lei non l'avrebbe potuta distinguere dalla vera Duchessa.

Quando Diabolik giunse alla camera dei Dorian, indossava già la maschera di Ginko. Lui sapeva di dover prendere il posto del commissario e già ne aveva studiato le inflessioni della voce ed il comportamento.

      -   Ho fatto sparire per sempre i loro corpi nel mare ed ho lavato le macchie di sangue in giardino. E' sparita ogni traccia.

      -   Sono un po' preoccupata caro.   -      Disse Elisabeth      -   Avevamo programmato di sostituirmi alla signora Caron ed ora c'è questo imprevisto.

      -   Abbiamo calcolato tutti i rischi. Ti saresti sostituita a Eva Caron perché sarà vicino alla coroncina al momento in cui la ruberemo e ne l'avresti nascosta sotto l'ampia gonna del tuo abito. Io invece, nelle vesti di poliziotto, avrei sviato i sospetti e le ricerche in altra direzione. L'unico motivo per cui non volevo farti sostituire ad Altea è il fatto che tutti la conoscono e sarà sempre al centro delle attenzioni degli invitati. Ma so che non sarà un problema insormontabile per te. Solo un ostacolo in più. Che supererai.

      -   Domani dirai che i signori Dorian si sentivano poco bene e sono partiti presto. Nessuno farà dei controlli e non ci saranno sospetti.

Con queste parole Diabolik infuse ad Elisabeth il coraggio di cui aveva bisogno e la baciò. Ma le loro maschere erano perfette e, se qualcuno avesse potuto vederli dalla finestra, avrebbe visto un bacio tra Altea di Vallenberg e Ginko. Si avviarono dunque verso le rispettive stanze.

 

      CLAP! CLAP! CLAP! Uno scoscio di applausi seguì la musica. Alla festa sullo yacht tutto stava procedendo bene, ma era solo l'inizio della serata. Tra pochi minuti il panfilo sarebbe partito per allontanarsi dalla costa, circondato dalla scorta della polizia. Solo allora, in mare, la coroncina della principessa Jada sarebbe uscita dall'inviolabile cassaforte e mostrata dal ministro ai pochi eletti che potevano partecipare alla festa. Allora Diabolik avrebbe agito azionando i fumogeni. Ma mancava poco tempo e Anna, al fianco dell'uomo che credeva essere Ginko, stava salendo a bordo del "Jada". La scritta aveva qualcosa i strano e Diabolik, sebbene sapesse bene cosa c'era scritto, riusciva a fatica a distinguerne le lettere, ma non a leggere il nome. J.A..A..D.. Decise che non era il caso di perdersi in simili sciocchezze e salì a bordo. Nessuno sospettava dell'esistenza delle maschere e nessuno gli avrebbe controllato il volto. Poteva procedere sicuro.

Diabolik, nelle vesti di Ginko, fu intrattenuto da ricchi nobili, importanti membri dello stato e della polizia destreggiandosi abilmente in tutti i discorsi. In fondo nessuno di loro conosceva bene Ginko e per lui non fu certo difficile raggirarli.

Le ore passarono e giunse il momento tanto atteso. Il ministro aprì la cassaforte e ne estrasse il gioiello. Diabolik aveva davanti agli occhi due gioielli: la cassaforte e la coroncina. La prima era un gioiello dell'ingegneria che in sala solo un esperto come lui poteva ammirare. Le pareti erano costituite di una speciale lega di titanio resistente alle alte temperature ed inattaccabile alla lancia termica. Uno speciale trattatemelo poi la rendeva praticamente inattaccabile agli acidi e forarla con strumenti meccanici era impensabile. Il meccanismo d'apertura era dei più sofisticati essendo costituito da una tastiera alfanumerica collegata con un allarme alla polizia tramite etere.  La coroncina invece era d'oro, non molto grande, con la forma a mezzo cerchio adatta per essere indossata da una donna con qualsiasi acconciatura. Le pietre dure di jada blu riflettevano le luci della stanza con una profondità che ricordava le acque marine. Era un gioiello veramente favoloso. Gli occhi di tutti si posarono sulle meravigliose pietre dure di cui era composto, ma c'erano delle eccezioni. Diabolik ed Eva. Lei infatti stava guardandosi intorno inquieta e lui l'aveva notata. I loro sguardi si incrociarono per un momento ed in quell'istante lui la guardò negli occhi per la prima volta nella sua vita perdendosi nelle sue meravigliose iridi verdi. Lei ricambiò lo sguardo per un istante ma, quando si accorse che l'uomo che credeva Ginko la stava guardando, cercò di concentrarsi sul gioiello come stavano facendo tutti gli alti.

Era il momento di agire, ma Diabolik aveva esitato per un attimo e venne preceduto.

      -   FERMI TUTTI, QUESTA E' UNA RAPINA!

Degli uomini armati irruppero nella sala. Dalle loro tutte nere da sub si capiva che provenivano dal mare. I volti erano coperti dalle maschere da sommozzatore ed erano dunque irriconoscibili.

      -   NON TENTATE MOSSE STUPIDE! SIAMO I "CORVI GRIGI". ABBIAMO GIA' PRESO IL CONTROLLO DELLO YACHT, UCCISO LE GUARDIE A BORDO E MESSO FUORI USO LE RADIO. LE LANCE DELLA POLIZIA SONO TROPPO LONTANE PER VEDERVI O SENTIRVI. PERCIO' STATE CALMI. E' INUTILE TENTARE DI REAGIRE!

      -   Non è possibile. come avete fatto a salire a bordo!   -      li interrogò il ministro.

      -   E' bastato aspettare in mezzo al mare con l'attrezzatura da sub e poi salire a bordo silenziosamente, caro ministro!

      -   Maledetti criminali!

      -   No, noi lottiamo per il nostro paese.

Ma Diabolik non li ascoltava più. Da una parte era furioso per il colpo che rischiava di andare in fumo, dall'altra era ancora catturato da Eva. Si stava comportando in modo strano. Mentre tutte le donne si stringevano ai loro mariti, lei sembrava fuggirlo.

      -   FERMO TU! BANG!

Il marito di Eva era stato colpito in piena fronte. Era stato ucciso con un solo colpo, come se fosse una cosa premeditata. Diabolik aveva intuito la verità anche se la donna ora stava recitando bene la parte della vedova disperata. Quegli uomini avevano potuto attendere il panfilo stando in mezzo al mare con le bombole da sub poiché conoscevano la rotta del "Jada". Ma la rotta era segretissima. Qualcuno aveva dovuto fornirgliela ed una donna che voleva liberarsi del marito poteva essere la spia. Ne era certo. L'informazione era venuta sicuramente da Eva Caron.

      -   Bene, ora fate fuori anche lei, non ci serve più.   -      disse uno dei Corvi Grigi indicando Eva agli altri.

Ormai era perduta, le avrebbero sparato per non doverle dare la sua parte di gioielli e per non lasciare nessun legame col quale la polizia potesse risalire a loro con le indagini. Improvvisamente, si udì una voce al megafono:

      -   POLIZIA! GETTATE LE ARMI ED ARRENDETEVI!

Diabolik conosceva bene quella voce. Era la voce che stava imitando. Era la voce di Ginko! I banditi, sentendosi accerchiati, si dimenticarono di Eva e si mescolarono agli ostaggi per non farsi colpire. Le motovedette erano infatti vicine e tutti si trovavano sotto tiro. Approfittando della confusione Eva, che ormai era stata smascherata, rubò la coroncina di jada. Se fosse riuscita a fuggire, avrebbe avuto il suo premio! Corse fuori dalla cabina per gettarsi in mare. Sicuramente i poliziotti l'avrebbero soccorsa e forse sarebbe riuscita a fuggire prima che si fosse scoperta la verità. Per Diabolik era arrivato il momento di agire e, con il radiocomando che teneva nella tasca della giacca, attivò i congegni posizionati su tutte le barche.

 

      BOOM!!. Fumo. Tutte le imbarcazioni ne erano sature. Diabolik corse sul ponte per inseguire Eva. Doveva fermarla. C'era un solo modo. Dalla manica sinistra estrasse fulmineamente un pugnale con la mano destra, prese la mira e lo lanciò verso il suo bersaglio. In quel mentre Eva si voltò a guardarlo. Il pugnale mancò il bersaglio. Come era possibile? Lui non avrebbe mai mancato un bersaglio tanto semplice! Ma non c'era tempo da perdere, doveva fermarla. Aprì allora la giacca per estrarre il pugnale che portava accanto alla fondina della pistola di Ginko ma, quando pose lo sguardo sul suo corpo per afferrarne l'impugnatura, si accorse che era sporco di sangue. Pareva un colpo di proiettile accanto al cuore, ma non sentiva alcun dolore. Com'era possibile? Impossibile. E aveva tentato di uccidere Eva col suo pugnale. No, non era possibile. Diabolik era confuso, la sua mente razionale non poteva ammettere certe cose. Alcuni fatti sono impossibili e lo sapeva. Cosa stava accadendo dunque? Il fumo cominciava ad uscire dalla cabina e ad invadere anche il ponte. Tutto intorno a lui stava perdendo forma, ma la mente cominciava a ragionare ed a collegare le cose. Ricordava lo scontro con Ginko nel bosco. Sicuramente il poliziotto gli aveva sparato, ma lui non se ne era accorto fino ad ora, e nemmeno le altre persone. Ginko era ora sulle lance della polizia. Non era possibile, lui lo aveva ucciso, lo aveva visto inghiottire dalle acque del mare. E se si fosse salvato, non avrebbe potuto in ogni modo essere su quelle maledette lance. Diabolik ricordò anche che all'aeroporto, quando si era presentato a Ginko come Cartabian, non indossava la maschera. Era illogico, perché lo aveva fatto? E ora stava cercando di uccidere Eva, la sua Eva. No. Era sbagliato. Poi ricordò il nome del panfilo, Jada. Non era riuscito a leggerlo nonostante si fosse sforzato. Ora aveva capito tutto. Era tutto perfettamente logico, ma necessitava di una prova.  Stese la mano destra avanti a se come per tenere qualcosa poggiato nel palmo che era però vuoto. Si concentrò, guardò il suo palmo e vide che conteneva la corona di jada. Era la prova di cui aveva bisogno. Ora tutto era chiaro. Stava sognando, si trovava in un orribile incubo e doveva uscirne a tutti i costi. I fari delle lance, puntati verso lo yacht, resero la nebbia più chiara ma sempre impenetrabile. Era accecante.

Più la luce cresceva di intensità e più i suoi occhi chiusi si dischiudevano. Per un attimo fu tutto chiaro. Era in una stanza, sdraiato su un letto. Poi ricadde nel suo sogno e tornò sul panfilo. Attorno a lui i poliziotti, gli invitati ed i criminali continuavano la loro lotta, ma ora a lui non importava. Sapeva che non era reale. Ripensò a ciò che aveva visto, senza però avere la forza di riaprire gli occhi. La stanza non era quella di un suo rifugio, ciò significava solo una cosa. Era in pericolo. Con uno sforzo disperato riaprì un po' gli occhi e si guardò attorno inclinando a destra il capo che poggiava sul cuscino. Un uomo stava armeggiando con delle siringhe. E gli dava le spalle. Doveva colpirlo, ma non aveva la forza di muoversi. Ricadde nel suo sogno, ma in esso riusciva a pensare, come quando prima di svegliarsi, si riesce a pensare a quello che bisognerà fare una volta svegli. Nel sogno un uomo lo afferrò per il polso destro. Non gli permetteva di pensare, ma anche nel suo incubo ora era paralizzato. Doveva trovare la forza di reagire. Lui era Diabolik e, se era stato catturato, Eva era in pericolo. Con uno sforzo sovrumano, ai limiti del possibile, irrigidì la mano sinistra tenendola aperta come una spada. Concentrò tutta la sua forza in quella mano, la alzò sopra il capo e, con un movimento in diagonale, la fece cadere pesantemente sul collo del suo avversario portando con essa tutto il peso e l'inerzia del suo corpo. In quel momento si svegliò di colpo. Era in piedi nella stanza e l'uomo che stava armeggiando con le siringhe era disteso al suolo in posizione supina. Dovevano aver lottato e ciò che aveva sognato era stata una proiezione della lotta nella sua mente. Ma sentiva che non sarebbe riuscito a rimanere lucido a lungo, si avvicinò al tavolino pieno di farmaci e tra essi vide un eccitante. Sapeva che doveva esserci perché quando si tiene drogata una persona può rivelarsi utile in caso di arresto cardiaco. Presa la prima siringa sottomano con la vista appannata, si iniettò l'eccitante nel braccio e cadde al suolo stremato.

 

      HHUUH! Con una profonda e rumorosa ispirazione, Diabolik si svegliò spalancando gli occhi. La grande midriasi delle sue pupille rendeva la visione dell'ambiente accecante, ma era più lucido di pochi minuti prima.

Ora ricordava tutto. Stava tornando a Clerville dopo aver preso in affitto una villetta sul lago di Gasten. Quando sulla strada tra Gurdon e Rokfort un'auto, uscendo da una villetta lo aveva speronato in una fiancata. Aveva perso il controllo della jaguar ribaltandosi fuori strada. Era svenuto ed i ricordi seguenti risalivano a quella stessa stanza. Il radio orologio si era rotto e dei ragazzi lo stavano interrogando per sapere dove fosse Eva e dove si trovassero le loro ricchezze maggiori, ma lui non voleva parlare. L'incidente era stato casuale poiché quei giovani, sopraffatti dalla droga, non avevano visto al sua auto sopraggiungere. Sicuramente la sua maschera si era stappata e lo avevano riconosciuto. Faceva ancora fatica a ricordare ed era debole. Si sedette un momento sulla branda con il capo tra le mani e si sforzò. Lo avevano drogato. Ricordava di averli sentiti parlare di un allucinogeno che avrebbero usato per interrogarlo senza che lui potesse opporre la sua volontà. Doveva essere quella droga ad averlo indotto a fare quel sogno. O era il senso di colpa nei confronti di Eva che ora si trovava in pericolo a causa sua? Quanto tempo era passato? Aveva parlato dei suoi segreti durante quel maledetto sonno? Era spaesato e non sapeva, ma doveva reagire. Si guardò intorno. Tastò l'arteria carotidea dell'uomo a terra. Non pulsava, era morto. Non era stato legato poiché lo credevano sopraffatto completamente dalla droga ed era stato un errore fatale. In quella stanza non c'era nulla di utile, dunque provò ad uscire cautamente. Si trovava in una cantina e sentiva delle voci nella stanza accanto, ma doveva armarsi prima di agire. Si avviò silenzioso verso le scale e cominciò lentamente a salirle. Gli scalini sembravano interminabili, ma la sua razionalità gli diceva che non potevano essere molti e si fece forza. In cima alla scalinata oltrepassò una porta con tutta la cautela di cui era capace. Si trovava in una saletta e da dove si trovava poté vedere la cucina. Si diresse verso questa stanza e trovò un ceppo per i coltelli. Era esattamente ciò di cui aveva bisogno. Prese quelli che gli sembravano più adatti e si rimase in ascolto. I rumori provenivano solo dalla cantina, il resto della casa era in silenzio. Fece un giro per tutte le stanze per accertarsi che non ci fosse nessuno e, quando se ne sincerò, riprese le scale per lo scantinato. Più il tempo passava e più si sentiva meglio. L'eccitante stava facendo il suo effetto. Stavano interrogando qualcuno. Era la voce di Eva! Sembrava che quei maledetti avessero drogato anche lei con lo scopo di farla parlare. Tutto quello che avevano scoperto non gli sarebbe più servito. Diabolik lanciò due pugnali contemporaneamente all'interno della stanza colpendo due dei tre uomini. Ne rimaneva un terzo. Era disarmato. Prima che lo drogassero Diabolik aveva contato quattro uomini. Tre erano fuori combattimento. Ora ne mancava uno. Diabolik aveva un altro pugnale, ma non l'intenzione di usarlo. Un colpo con la mano aperta spezzò il collo di quell'uomo eliminandolo senza nessuno spargimento di sangue.

Eva era lì, sdraiata sulla brandina, in preda alle sue allucinazioni. Doveva svegliarla e così le iniettò dell'eccitante. Pochi minuti dopo si sarebbe risvegliata. L'incubo era finito.

 

      BZZZZZ. TLACK! La serranda del garage si era richiusa ed i due erano finalmente in uno dei oro rifugi sul mare. Durante il viaggio in automobile Diabolik le aveva raccontato tutto dal viaggio a Gasten, all'incidente, all'interrogatorio in cui dovevano essere riusciti a carpirgli il nascondiglio di Eva ed il modo di entrarvi. Lei gli raccontò che uno di loro era riuscito effettivamente ad entrare nel rifugio con la sua maschera e così a sorprenderla e rapirla. La avevano poi portata nel loro villino dove era rinchiuso anche lui.

Scendendo dall'auto rubata a quegli uomini, Eva aveva un'ultima domanda da fare al suo uomo:

      -   Amore, non mi hai ancora detto come hai fatto a risvegliarti dalla droga prima del previsto!

      -   E' stato un caso Eva. Quell'allucinogeno mischiato al senso di colpa per averti messo in pericolo un'altra volta per colpa mia, mi ha indotto a fare uno stano sogno. Ma era appunto un sogno e molti particolari erano incongruenti e la mia mente non poteva accettarli. Ginko era morto e ricompariva vivo e vegeto, io tentavo di ucciderti, e ci sono molti altri particolari nascosti che ora mi sfuggono ma che sono sicuro che noterei se ripensassi intensamente a quel sogno come se rileggessi un breve racconto. Ma l'indizio più importante che mi ha fatto capire che stavo sognando era il fatto che non riuscivo a leggere il nome dell'imbarcazione. Quando si sogna difficilmente si riesce a leggere perché l'area del cervello dedicata al sogno ed alla comprensione dei testi scritti è diversa. Avevo bisogno però di una prova e, come per magia sono riuscito a proiettare nella mia mano i gioiello che volevo rubare senza muovere un solo muscolo. Solo in un sogno si può fare, quando si riesce a controllarlo con la forza di volontà e della mente. E' stato allora che mi sono svegliato.

      -   Un sogno? E cosa hai sognato?   -      Chiese Eva incuriosita.

Diabolik aspettò qualche istante prima di rispondere. Ormai erano giunti nel soggiorno. Aprì la porta a finestra che dava sul terrazzo ed uscì all'esterno. Si accomodò sulla sdraia da giardino ed Eva lo seguì sedendosi sulle sue ginocchia.

      -   Era un sogno strano Eva. Era come se il destino fosse stato diverso. L'urlo della sirena che ha permesso il nostro primo incontro terminò prima che tu aprissi la porta così che non ci conoscemmo mai. E Ginko arrivò tardi la prima volta che ci incontrammo a Gau Long, un ritardo di pochi secondi, ma sufficiente ad evitare l'incontro dei nostri sguardi che segnò l'inizio della nostra sfida. E così nessuno di noi si conobbe mai.

      -   Che sogno stano. E come eravamo?

      -   Non molto diversi in realtà. Solo i particolari erano differenti, ma quello che siamo veramente lo saremmo diventati comunque. Ma quel sogno è solo lo specchio di ciò che credo, perciò chissà. magari tutto sarebbe stato diverso. Nessuno potrà dirlo mai.

      -   Caro, se tu non mi avessi conosciuto non saresti andato tanto lontano no? Elisabeth ti avrebbe fatto giustiziare ricordi?

-   Se non ti avessi conosciuto avrei fatto in tempo a fermarla. Ma la mia vita non sarebbe stata tanto meravigliosa.

Eva non era così sicura che sarebbe andata in quel modo, ma non era certamente il momento di discutere. Ormai era sera e il sole infuocato tramontava sul mare che ne rifletteva la luce facendola sembrare quella di una fiaccola mossa dalle onde come lo è dal vento la fiamma di una torcia. Eva pareva ancora più bella in quell'atmosfera. Doveva essere stanca dall'estenuante giornata ma il suo volto non lo dava a vedere. I suoi capelli, che teneva usualmente raccolti sulla testa, ora erano sciolti e mossi dal vento che preannunciava la frescura della notte. Diabolik la guardò negli occhi verdi e rammentò lo sguardo di lei nel suo sogno, sulla barca. Era dalla vista di lei in fondo, che aveva cominciato a svegliarsi veramente.

Non sarebbe mai riuscito ad abituarsi alla sua bellezza e lo sapeva. Una fresca brezza giunse inaspettatamente e sembrò ridestarli. Si abbracciarono stretti e lui disse:

      -   Se ci siamo incontrati è per un misterioso disegno del fato. Ed io lo ringrazio per questo.

Poi lui la accarezzò con una mano tra i lunghi e meravigliosi capelli biodi sciolti sulle spalle. Lei chiuse i suoi meravigliosi occhi verdi e si baciarono intensamente.

 

FINE




Commento di Mario Gomboli




UNA SOLA DEFINIZIONE: G E N I A L E !
Poi potrei criticare la prosa logorroica, qualche dispersione di racconto,
qualche sofisma nel finale e una certa ingenuità nella chiave narrativa...
Ma vi giuro che mi piacerebbe molto trasformare  - non so in quale contesto
- questa idea in un "vero" episodio diaboliko.
I miei complimenti, Cristian.
Mario Gomboli

 

 

 

Ciao Andrea,

meriti di conoscere un particolare. Quando Scrivo "In sala c'erano anche i signori Dorian seduti sul canapè mentre sorseggiavano un aperitivo. Lei una signora bionda e lui un uomo rasato e con gli occhi chiari. Occhi chiari e inquieti che..." a chi credi che stessi pensando?

Grazie, Cristian.